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"Chiamare «società» il popolo di estranei in mezzo al quale viviamo è una tale usurpazione di significato che gli stessi sociologi hanno avuto la decenza di rinunciare a al concetto. Essi preferiscono ora la metafora della rete per descrivere il modo in cui si connettono le solitudini cibernetiche, con cui si annodano le deboli interazioni conosciute sotto al nome di «colleghi», «contatti», «amici», «relazione», o «avventura». Ed ecco che a un certo punto, si arriva a vedere chiaramente come queste reti si condensino in un centro, ma esso sia un centro dove non si condivide nulla, se non dei codici, e dove nulla si attiva, se non l'incessante ricomposizione di una identità." - L'insurrezione che viene
Posted on 19:47

Che ci siano ricchi, non è un diritto dei poveri?

By Dual_Core alle 19:47


Una volta ho scritto che nel mondo ci sono solo tre classi di beni: universali, generali e collettivi.

I beni universali sono quelli di cui ci basta avere un esemplare,o un esempio, per farci star universalmente tranquilli. Sono cose che stanno lì, e non c'e bisogno di prenderle in mano, o possederle individualmente: c'e un sole e una luna, ci sono stelle, c'e un mare, c'è un Machupichu e un Everest, c'è un Taj Mahal e una Cappella Sistina, un Che Guevara ,un San Francesco e un García Lorca, un José Martí e un Garcia Marquez.

I beni generali sono invece, quelli che si devono necessariamente generalizzare per far sì che l'umanità sia completa. Non basta che ci sia il pane nel palazzo del principe o che ci sia una casa nel giardino del conte, queste sono le cose che si dovrebbero avere qui, che tutti noi dovremmo toccare con mano o goderne personalmente: abbiamo cibo, riparo, acqua, medicine e se non c'e l' abbiamo è perché c'è qualcosa di sbagliato in questo mondo. Non si tratta di un'ingiustizia che ci sia un unico sole nel cielo o un singolo Guernica di Picasso, ma lo è che non ci sia pane per tutti.

Infine, i beni collettivi sono quei
benefici di cui tutti dovremmo goderne in ugual modo, ma non possono essere generalizzati senza mettere in pericolo l'esistenza di beni universali e generali. Sono quelli, in ultima analisi, che si devono condividere. Ci sono, ad esempio, i mezzi di produzione, che non possono essere privatizzati lasciando senza beni generali (pane, alloggi, salute) a milioni di esseri umani. E ci sono alcuni oggetti di consumo, la cui generalizzazione comprometterebbe il bene universale per eccellenza, fonte di garanzia di tutti gli altri beni: la Terra. Tutti devono avere il pane e un riparo, ma se tutti noi avessimo un auto, ad esempio, la sopravvivenza della specie sarebbe impossibile. Il motore a combustione interna, dunque, non è un bene generale, di cui ciascuno di noi può avere uno, ma è un bene collettivo il cui uso dovrebbe essere condiviso e razionalizzato.

Nel corso della storia, diverse classi sociali si sono appropriate dei beni generali e dei beni collettivi, e in questo il capitalismo non differisce dalla precedente società. Più inquietante è quello che il capitalismo ha fatto o sta facendo, con i beni universali. Ciò vale non solo per la colonizzazione dello spazio, la privatizzazione delle onde radio, i semi ed i colori o la scomparsa di specie, montagne e giungle. Mi riferisco principalmente alla svalutazione mentale che hanno subito i beni universali, sotto la corrosione antropologica del mercato. Di solito fa piacere la visione delle stelle, normalmente fa piacere contemplare il dolce dondolio della neve, normalmente provoca benessere la lettura del Canto Generale di Neruda. Giusto? Nel 1895, Cecil Rhodes, imperialista inglese, imprenditore e fondatore della De Beers (che detiene il 60% dei diamanti del mondo), guardava infuriato le stelle dalla sua finestra "così chiare e così lontane", così lontane da quel suo appetito imperiale che "voleva ma non poteva annessionare". Su scala più piccola, un presentatore televisivo spagnolo lamentava nel 2005 che si sarebbe dovuto pagare per vedere la neve che copriva i campi e le città in Spagna, così bianca e bella, degradata dal suo prestigio per il fatto di offrirsi indiscriminatamente alla vista di tutti. E su scala ancora più piccola, ho conosciuto un poeta che non sapeva leggere i versi di Neruda, senza rabbia: "avrei dovuto scriverli io!". E' un capriccio da bambini volere la luna e da madri corrotte promettergliela. Il capitalismo è un distruttivo infantilismo. Isola i tratti infantili di un bambino maleducato e lo generalizza, lo normalizza, lo ricompensa socialmente. Quello che è lì, quello che non possiamo prendere con le mani, che è il motivo per cui è di tutti, ci impoverisce, ci intristisce e non vale niente.

Cosa resta dei beni universali? Restano i ricchi. I ricchi sono per tutti. Quello che ci piace di più del capitalismo non è che produca automobili e aerei e alberghi e macchinari: è il fatto che produce ricchi. Le orge babilonesche di Berlusconi, le pensioni millionarie dei banchieri nel mezzo della crisi, il lusso sgargiante dei politici corrotti, non sono macchie o peccati del capitalismo sono pura pubblicità. La lista degli uomini più ricchi del mondo stilata dalla rivista Forbes non è altro che una barbara ostentazione propagandistica che genera molta più partecipazione al sistema che una disparità di accesso a merci a buon mercato e banali. C'è da meravigliarsi che le donne latino-americane, a domanda sul loro "marito ideale", rispondano americano, biondo, occhi azzurri, molto alto, chirurgo o imprenditore e, naturalmente, milionario? O che nella nuova Cina, il padre col quale sognano le giovani madri sia Bill Gates? O che nella top ten degli uomini più ammirati dai "machos" degli Stati Uniti, non ci sia neanche uno scrittore o uno scienziato, e che quasi tutti siano amministratori delegati o titolari di aziende tutte immensamente ricche? O che le più famose soap opere e telenovelas in TV, guardate da milioni di telespettatori, consistano in trattati sull'antropologia delle alte classi (le loro abitudini, i loro problemi e i loro piaceri)?

Se i poveri non possono condividere la ricchezza, possono almeno condividere i loro ricchi. Se non possono consumare ricchezza possono consumare vita da ricchi. Bill Gates, Carlos Slim, Warren Buffett, sono la Luna e il Machupichu, la Cappella Sistina e il Taj Mahal del capitalismo. Sono il sole e la neve e il Canto Generale del mercato globalizzato. Potrebbero essere i responsabili del fatto che il mondo cada a pezzi, ma sono anche gli artefici di questo miracolo: cioè che siamo tutti molto felici e tutto ci sembri stupendo, mentre collassiamo.

Chi vuole l'uguaglianza? La disuguaglianza non è un diritto dei poveri? che ci siano milionari, non è un diritto dei milleuristi e disoccupati? Non dovremmo difendere, armi in mano, il nostro diritto a che gli altri siano ricchi? Non dovremmo ringraziarli per i loro sprechi? Non dovremmo almeno votare per loro?

Questo è il modello che stanno cercando di imporre Stati Uniti ed Europa al resto del mondo. Non il diritto a che ci siano stelle e Machupichu e Cascate di Iguazu e la 9th sinfonia di Beethoven, ma a che ci siano ricchi, non al diritto di casa, pane e scarpe, ma a sapere chi sono e come vivono i milionari.

Rivoluzione? Il pane e la Luna.

(Dovete sapere che "pane" nel dizionario socialista significa anche latte e vestiti, case, ospedali e trasporti pubblici e "luna" significa anche mare, musica, verità e sovranità politica).

Fonte: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=94115

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